L’AFFONDAMENTO DEL “GENOVA”.
Dopo l’armistizio tra l’Italia e gli Alleati dell’8 settembre 1943 e l’occupazione tedesca del nord Italia, i battelli del Lago Maggiore continuarono nel loro servizio di collegamento tra i paesi rivieraschi. Per un anno il loro servizio non venne disturbato, se non dalle contingenze e ristrettezze della guerra; ma a partire dall’autunno 1944 iniziò ad operare su tutta la Pianura Padana un considerevole numero di bombardieri leggeri e cacciabombardieri angloamericani, privi di veri e propri obiettivi ma piuttosto in “caccia libera” a “targets of opportunity”, obiettivi occasionali costituiti principalmente da mezzi di trasporto di ogni tipo: automezzi, corriere, treni ed anche battelli. L’obiettivo primario di questi velivoli consisteva infatti nell’attaccare e distruggere qualsiasi mezzo che avrebbe potuto essere utilizzato dalle forze tedesche. Un simile criterio, evidentemente, avrebbe tuttavia portato a pesanti perdite tra la popolazione civile, cosa che puntualmente avvenne.
Sui quattro grandi laghi prealpini la situazione rimase tranquilla sino al settembre 1944. Il 25 settembre, proprio il Lago Maggiore divenne il teatro del primo di una lunga serie di attacchi aerei ai danni dei battelli lacuali, e il Genova ne divenne la prima vittima.
Il 25 settembre 1944 il Genova, al comando del capitano Edoardo Fornara, lasciò Pallanza diretto a Baveno con un centinaio di passeggeri a bordo. Cosa trasportasse di preciso la nave sembra controverso, perché mentre secondo il libro “Memorie di un conflitto (1940-1945)”, edito dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Laveno Mombello (che cita la testimonianza del superstite Guglielmo Morlotti, sebbene non è chiaro se l’affermazione che segue provenisse da lui), la nave stava trasportando “armi fasciste e tedesche da utilizzare contro i partigiani ossolani” (e gli aerei lo attaccarono a difesa della Repubblica partigiana dell’Ossola); per altra versione il Genova non aveva a bordo che passeggeri civili, principalmente donne e bambini (ed il suo mitragliamento ed affondamento fu un deliberato atto terroristico volto a fiaccare il morale della popolazione civile). In realtà, come detto sopra, entrambe le versioni probabilmente sbagliano circa le motivazioni dell’attacco aereo: con ogni probabilità l’attacco al Genova rientrò nella tragica casistica dei “targets of opportunity”. Da una parte si deve rilevare che la supposizione che i battelli potessero essere impiegati per trasportare truppe non era del tutto infondata (proprio nell’autunno 1944, infatti, il piroscafo a ruote Lariano venne lungamente impiegato per trasportare truppe sul Lago di Como), dall’altra non si può non notare la totale noncuranza nei confronti delle vittime civili che simili attacchi avrebbero quasi sicuramente comportato (e che infatti comportarono svariate volte).
Intorno alle 15 del 25 settembre (per altra versione nel mattino di quel giorno) il Genova era in arrivo a Baveno, quando venne attaccato da alcuni cacciabombardieri angloamericani – provenienti da Intra, dove avevano sganciato un grappolo di bombe colpendo un gruppo di case operaie detto “Il cassinone”, provocando nove vittime –, forse dei Republic P-47 Thunderbolt (uno dei modelli più impiegati in questo genere di missioni), oppure due Supermarine Spitfire britannici. I passeggeri del piroscafo sentirono un rombo lontano, poi d’improvviso gli aerei furono sopra di loro, scesero bassissimi sull’acqua e mitragliarono il Genova con proiettili esplosivi e perforanti, incendiandolo, uccidendo il comandante Fornara e provocando numerose vittime e feriti tra i passeggeri e l’equipaggio. Il mitragliamento si protrasse per un quarto d’ora; Guglielmo Morlotti, membro dell’equipaggio (era controllore), si mise in salvo rifugiandosi alla base del fumaiolo, strisciandogli intorno prono per non essere colpito, ma fu ugualmente ferito in varie parti del corpo dalle schegge proiettate dalle scialuppe colpite (e passò poi tre mesi in ospedale a Baveno, nel Grand Hotel).
La passeggera Anna Tropea Buoninsegni, che al momento dell’attacco si trovava nella sala del piroscafo insieme ai suoi due figli di 6 e 10 anni, strinse a sé i suoi bambini e si gettò sotto un tavolo: rimasero tutti e tre incolumi, ma quando si rialzarono si trovarono circondati da un lago di sangue.
Il ponte del piroscafo era cosparso di morti e feriti; uno dei figli di Anna Tropea Buoninsegni, mentre cercavano di uscire in coperta, gridava “Mamma, mamma, non calpestiamo i morti”. La confusione era generale, la gente si accalcava sul ponte, amici e parenti si cercavano spesso senza risultato.
Le fiamme levatesi in più punti diedero vita ad un violento incendio che non si riuscì a domare, mentre qualcuno gridò “Stanno per scoppiare le macchine!”.
Il macchinista del Genova era rimasto ferito, mentre il timoniere, rifugiatosi a poppa durante il mitragliamento, riuscì poi a portare il battello, gravemente danneggiato ed in fiamme, sino al pontile, sbarcando feriti (che furono portati nel Grand Hotel di Baveno, trasformato in ospedale militare) e superstiti. La nave fu tirata verso la riva anche usando delle corde.
Poi uomini della Marina Nazionale Repubblicana (la Marina della RSI) disormeggiarono il piroscafo, avvolto dalle fiamme e senza più nessuno a bordo, e lo portarono al largo, temendo che le caldaie sarebbero scoppiate (le autorità avevano infatti ordinato che la nave venisse rimorchiata al largo non appena fosse terminata la rimozione di morti e feriti). Il battello bruciò per poco tempo a poca distanza dalla riva, poi le caldaie scoppiarono ed il Genova impennò la prua ed affondò a 400 metri dalla riva, su un fondale di 14 metri. I morti furono 34, tutti civili: tre membri dell’equipaggio (il comandante Fornara, il marinaio Giovanni Tarazza e l’aiuto motorista Pio Pirali) e 31 passeggeri. Tra l’equipaggio rimasero feriti il controllore Guglielmo Morlotti, il macchinista Giuseppe Mobiglia, l’assistente bigliettaio Ettore Monferrini, il timoniere Luigi Zaninetta ed il manovale Pietro Vesco.
Volle la sorte che di lì a meno di ventiquattr’ore anche i due gemelli del Genova lo raggiungessero sul fondo del lago: nel pomeriggio dello stesso 25 settembre fu infatti affondato a Luino il Torino, mentre l’indomani il Milano venne incendiato ed affondato al largo di Intra. Per altrettanto singolare coincidenza, i tre piroscafi gemelli furono anche le uniche unità della numerosa flotta del Verbano ad andare perdute durante la guerra.
Terminato il conflitto, le prime due nuove motonavi costruite dalla Navigazione Lago Maggiore ricevettero i nomi di Genova e Milano, a ricordo dei due battelli perduti.
Non è chiaro cosa sia stato del relitto del Genova: per una versione si troverebbe tuttora laddove venne affondato, davanti a Baveno o tra Stresa e Santa Caterina (ma appare strano che non vi sia alcuna notizia su un relitto che giaccia ad una profondità così ridotta), per un’altra venne successivamente riportato a galla e demolito.
Il 7 maggio 1959 la tragedia del Genova e del Milano venne commemorata con il lancio di una corona di fiori proprio dal Torino, alla presenza del capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Pecori Giraldi, di altri nove ammiragli e di una rappresentanza della Marina, oltre che di sindaci, autorità e popolazione rivierasca, compresi anche alcuni superstiti di quei tragici eventi, tra cui Anna Tropea Buoninsegni, che narrò la sua storia.
(di Lorenzo Colombo 07/02/2014)